Cresce cresce cresce la citazione-invocazione-evocazione della crescita. O forse il top dell’impennata si è registrato sotto Enrico Letta, che la parola la scandiva volentieri, mediante quella sua dizione asciutta che però, giunta al centro del vocabolo, nel gruppo consonantico “sc”, si increspava un po’, con un sussulto di gote che faceva pensare ad una qualche (illusoria) abbondanza da bocca piena. Ora, sarebbe facile scrivere qui che più si è nominata la crescita e meno l’economia è cresciuta. Ma forse più interessante è chiedersi se davvero, poi, si sia tanto parlato di crescita, e se non si tratti invece di un’illusione acustica generata dalla solita risonanza mediatica applicata alla politica postmoderna: un premier dice due-tre volte “crescita”, e cresce l’eco assordante di quella parolina innocente, propalata come un mantra da giornali e tivvù. Si può pure pensare che non ci siano più le parole epocali di una volta: l’ “austerità” di Berlinguer ci manca, vuoi per il senso morale di cui era intrisa, vuoi proprio per la parsimonia con cui il segretario del Pci la proferiva, salvandola così da ogni rischio di inflazione. Ma è esattamente questo, in realtà, il punto: oggi un Berlinguer che affermasse una tantum “austerità” si ritroverebbe suo malgrado quella parola preziosa in tutti i talkshow, in tutti i titoli, in tutti i tweet. Una sovrabbondanza capace di ucciderla. Nel 2014, ahinoi, la crescita del silenzio è più utopistica di quella del Pil.
Enzo Costa
LEFT 09/08/14
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