Che, in questi mesi di integralismi rimontanti e migrazioni strazianti, certe immagini siano choc, è indiscutibile. Un motivo in più per trovare discutibilissimo l’impiego che della parola si fa per tutt’altre questioni in tutt’altri contesti: per esempio, ecco tutti (o quasi) giù a dire che il “nuovo” calcio italiano guidato da Tavecchio avrebbe bisogno di uno choc, o che per quel comparto in crisi del sistema Italia (orrida espressione che torna sistematicamente, a riprova della crisi suddetta) servirebbe uno choc. Lo choc si impone, nello specifico idioma definibile politicàtico, costituito dall’intreccio perverso di linguaggio politico e mediatico: il premier (lo twitta lui o lo scrivono i giornali, è uguale) pensa alla misura choc di 100.000 nuove assunzioni fra gli insegnanti; nel prossimo consiglio dei ministri (lo anticipa un ministro o un telegiornale, non cambia) si varerà una terapia choc per il settore edilizio. Lo choc si annuncia in tempo per i titoli del tg della sera, con quelle quattro letterine (cinque per la versione anglofona “shock”, ancora più cool) ben più elettrizzanti delle sei di “scossa”: prefigura una svolta non solo buona ma, soprattutto, sconvolgente, e denuncia il bisogno patologico di una comunicazione drogata. Poi magari arriva il contrordine compagni (di annunci): stoppato il bonus casa, congelate e poi aumentate (su web) le assunzioni dei prof, le categorie interessate protestano e/o diffidano. Ma a tutto questo si è abituati, nessuno choc. Enzo Costa
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