In un bell’incontro pubblico mi trovo a dibattere di “smart cities” (ossia erogatrici di servizi digitali, attente agli impatti ambientali). Dalla platea (con diversi anziani) mi pare di cogliere sconcerto da non comprensione dell’espressione anglofona. Farlo o non farlo notare? “Smart cities” suona molto meglio di “città intelligenti”. Però l’italiano chiarirebbe il concetto. Esito, poi chiedo di tradurre, definendomi “moderatore populista”. Forse l’autoironia era superflua. Forse la gente aveva capito. Forse io sono poco smart. Enzo Costa
Repubblica Genova 31/10/14
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