Ed è subito polemica. Ed è subito bufera. Ed è subito rissa. Ed è subito scontro. Ed è subito titolo: fulmineo, istantaneo, subitaneo, di questi tempi mediatici convulsi e nevrastenici, l‘uso giornalistico di tale avverbio dal sapore sbrigativo, associato a sostantivi negativi, ora di stampo bellicoso, ora di stampo meteorologico. Non solo ci si divide, ci si accapiglia, ci si prende a male parole, a cattivi post e/o a schiaffi in un clima emotivo pesantissimo, ma lo si fa “subito”. La tempesta scoppia non appena è stata avanzata la proposta, un attimo dopo il varo del decreto, ultimata o anche solo iniziata la lettura della sentenza, com’è ovvio ancora priva di motivazioni. Ora, che il “subito”, per collocare temporalmente simili scomposte reazioni automatiche, ci stia tutto, non ci piove. Tuttavia, si avverte pure una certa pioviggine da uggioso conformismo lessicale: par di vederli, cronisti, mezzibusti e titolisti, smaniosi di appiccicare in un baleno il “subito” d’ordinanza alla susseguente parola semanticamente dirompente: il tutto sempre introdotto da quell’ “Ed è” la cui congiunzione iniziale, al netto della gloriosa risonanza quasimodiana, dice della strettissima connessione (anche nel senso dei tempi oltremodo stretti) fra fatto particolare e botto umorale in oggetto. Insomma, “subito” fa anche comodo: la sua fulmineità di impiego, oltre che di significato, esenta da ogni approfondimento. Fermo restando che, ammettiamolo, “E dopo un po’ è polemica” suona male. Enzo Costa
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