Non si dice più, magari timidamente, vergogna. Si grida, spesso ferocemente, “VERGOGNA! VERGOGNA! VERGOGNA!”. Di questi tempi virali e (mal)umorali, la triplice intimazione maiuscola va in automatico, come contagio lessicale, a mo’ di indignato stigma da appiccicare a colpi di esclamativo iterativo sul biasimato di turno. Che, per carità, spesso (non sempre) qualcosa di cui doversi vergognare ce l’avrebbe davvero. Ma è il modo che, ancora una volta, confonde: siamo proprio sicuri, viene da chiedersi a fronte di certe sfuriate replicate, che la frequenza e l’intensità del tri-“VERGOGNA!” siano direttamente proporzionali alla gravità della colpa commessa e del sopruso subito? Il dubbio, forse, si è insinuato per via di uno dei precursori del refrain di successo: Sandro Bondi. Sembra ieri, e in effetti era al massimo l’altroieri, che vedevamo questo tondo, glabro, curiale difensore della Fede in Papi scagliare il suo acuminato “VERGOGNA!” in triplice copia contro gli infedeli che avevano osato mettere in dubbio, anche in minima parte, la bontà assoluta del suo Dio Fardato. Ecco: da allora il “VERGOGNA!” copincollato, in noi miscredenti, geneticamente diffidenti delle indignazioni berciate, suona sospetto (magari a torto, per certe indignazioni più che motivate). E il vederlo introdurre, anche in singola copia, video propagandistici “anti-zombie” a cinque stelle, ha fatto il resto. Ma si sa: nel nostro fantasmagorico paese, di simili espedienti espressivi non ci si vergogna.
Enzo Costa
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