Fortunato il movimento che, essendo arrivato in Parlamento, non si chiama movimento né, tantomeno, MoVimento (con la “V” maiuscola, a mo’ di triste citazione dell’iniziale di “Vaffa”), ma, come in tutte le democrazie, “partito”. E fortunato due volte se i suoi esponenti, nel combattere una sacrosanta battaglia contro la corruzione, non la esplicitano berciando in loop “Onestà!”. Certo, prima ancora, e ovviamente, fortunato il Paese che, oltre a non aver bisogno di eroi, non ha “bisogno” di corrotti e corruttori in quantità industriali. O anche solo di affaristi, maneggioni e intrallazzatori più o meno illegali in conto (alla) Capitale. E tuttavia quella scen(eggiat)a in Campidoglio, con la truppa pentastellata che intonava in un coro reiterato e un po’ isterico “Onestà!”, con stilemi espressivi da curva, come una sorta di implicito “Devi morire!” applicato a chiunque, non soltanto a probabili (ma ancora da processare e, eventualmente, condannare) tangentisti, beh, quello show diceva con eloquenza di altri tipi di corruzione: quella del linguaggio, se solo si pensa (“solo” si fa per dire) ai toni, ai vocaboli, persino agli sguardi con cui Berlinguer parlava di questione morale. E, quindi, corruzione dell’idea di politica: se l’onestà diventa un manganello oratorio da far assaggiare in modo indiscriminato a tutti, dal peggiore degli ex (?) fascisti al sindaco Marino, si sente un tanfo di spiccio, di strumentale, di qualunquistico. Se non di intellettualmente disonesto.
Enzo Costa
LEFT 20/12/14
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