Di annunciata, secondo i media, c’è innanzitutto la catastrofe. Specie se naturale. E, obiettivamente, spesso i presagi, nel senso di incurie prolungate, di crepe allargate, di cementificazioni sconsiderate, sussistevano proprio. In Italia, ho scritto tempo fa, si brancola nelle emergenze, con tutto il senso di cecità suicida che suggerisce il verbo, e tutto il senso di imprevidenza civica che evoca il sostantivo. E però, a dirla tutta, talvolta si ha la sensazione che anche l’aggettivo “annunciata”, impiegato non solo per qualche catastrofe, ma pure – al maschile – per qualche incidente, dramma o crimine, segni un’emergenza. Quella, lessicale, di un’informazione pigra, svogliata, sciatta, che procede per cliché, moduli prestampati, frasi copincollate. Non si concepisce (più) la possibilità che certi tristi eventi siano, se non ineluttabili, imprevedibili o quasi: un po’ per la fame crescente di colpevoli facili (anche solo di omissione) e di semplificazioni agili, un po’, chissà, per il gusto appagante della parafrasi letteraria: e così, quello che, grazie alla penna di Garcia Marquez, fu l’aggettivo speciale del titolo originale di un romanzo geniale, è degradato ad attributo svilito da tg: non c’è titolo più annunciato di “Una catastrofe annunciata”. E ciò, paradosso o ribadimento linguistico, in un’epoca di crisi in cui manca tutto, tranne gli annunci. Anche per garantire pronti rimedi all’ennesima catastrofe. Annunci fatti, magari, come ospiti della Annunziata.
Enzo Costa
LEFT 13/12/14
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2 commenti:
Un abbraccio a te e a chi ti amava e rideva con te
Nice poost
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