Se non scrivessi che il popolo dei forconi è un segno della crisi
della politica, sarei poco autorevole. Se non dicessi che bisogna
guardare oltre i leader in Jaguar, le frange fascistoidi, il teppismo
ultrà, le minacce di libri al rogo, sarei poco vendibile. Se non
spiegassi che nella rabbia disorganizzata di studenti, precari,
disoccupati, esercenti e piccoli imprenditori c’è la sconfitta di
una sinistra poco popolare e molto snob, che non sa parlare ai
non garantiti, sarei poco trendy. Ovvio: questi concetti, circolanti
a ogni editoriale sospinto, di talkshow in talkshow, contengono
verità. Ma aggiungo che ognuno di essi, specie l’ultimo, specie
laddove evoca il popolo delle partite Iva inascoltato dalla sinistra,
mi suona un tantino atteggiato e riciclato. È, più o meno, lo
stesso che si diceva alla sinistra, e che ci si diceva a sinistra, in
pieno boom della Lega. E anche, con qualche tocco glamour,
ai tempi dei trionfi di Silvio. E pure, in versione 2.0, con Grillo.
Sono oltre vent’anni che impazza l’accusa alla sinistra di non
intercettare il disagio di una quota di italiani. Ogni volta sedotti
dal capopopolo di turno, che poi magari, un decennio, un lustro
o un mese dopo, cade in disgrazia col suo non-partito (“tutti a
casa!” urlavano mercoledì dei “forconi” contro i cinque stelle),
senza autocritiche da parte degli accusatori della sinistra (tipo:
“non è che è stato giusto e serio non cavalcare certe ondate
populistiche?”). In attesa del prossimo disagio non intercettato,
si porta molto la figura dell’intellettuale di sinistra che scrive
cose tipo: “Sbagliamo a non considerare come sia forte l’odio
per la Casta”. Per carità, io lo considero, anche se spesso chi lo
fomenta è assai più privilegiato di me. Così come l’intellettuale
flagellante di cui sopra. Enzo Costa
l'Unità 16/12/13
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