Pareva di vederlo e sentirlo, anche se non era inquadrato
e i pur copiosi effetti speciali non includevano la fruizione
olfattiva, il sudore freddo grondante dal ministro Padoan in
piena performance del premier. Più il sindaco sfrecciato a
Palazzo Chigi schizzava slide, pesciolini, scritte da supermarket,
annunci e rilanci, più il limitrofo tecnico precipitato al governo,
facile immaginarlo, provava mancamenti. Probabile che, per
deformazione professionale, stesse computando il proprio debito
di ossigeno e lo spread fra battiti cardiaci di lui medesimo e
decreti con cui tentare di tradurre quelle parole illustrate. È un
effetto collaterale del già mitico mercoledì da Matteo. Un altro
(oltre alla buffa stizza dei berlusconidi) è una forma di satira
pavloviana di massa: tutti noi, al risuonare di quei mirabolanti
allettamenti, abbiamo pensato alle televendite, a Mastrota.
Anche se diverse misure proposte erano abbastanza di sinistra,
e forse persino fattibili. Certo, lo stile dell’offerta speciale, anzi il
format, influiva, e molto. Ma quel non originalissimo umorismo
automatico collettivo, mentale e virtuale (nel senso di riversatosi
in rete), diceva pure di come noi stessi, quanto Matteo, fossimo
colonizzati dall’immaginario catodico anni ‘80. Compresi quelli
che, prima di irridere su Fb l’irrefrenabile imbonitore Renzi, web-sferzavano l’inerte asetticità di Letta. Ammesso e non concesso
che i due siano riassumibili in simili figurine, e che la politica sia
ridotta a una dicotomia fra Spot e Palazzo, io, a suo tempo, una
terza via ho creduto di trovarla in Bersani: ma all’epoca molti
degli odierni sbeffeggiatori del premier lo dipingevano come un
politico troppo all’antica, o come una versione iper-realistica della
parodia di Crozza. E poi non ha vinto le elezioni. Enzo Costa
l'Unità 17/03/14
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