E l’ “impeachment”? Va bene che il non-Leader dei 5 Stelle
secerne post esplosivi a ciclo continuo. Va bene che, prima di
smascherare il complotto ordito da Letta con la perfida Albione,
emette la fatwa contro l’infedele di turno, duetta filosoficamente
con Giletti e caldeggia un gaio ritorno al futuro con la Repubblica
di Venezia e la rentrée dei Borboni. Va benissimo che la richiesta
della messa in stato d’accusa (scusate, impiego le parole
della Costituzione) di Napolitano è stata rispedita al mittente
sbraitante, ma quella sortita pentastellata, ancorché cotta e
cestinata, non va archiviata così. Prescindendo dalla logica
ficcante del non-Leader, che nel 2011 intimava al Presidente di
cacciare Berlusconi sostituendolo con un tecnico, e nel 2014 gli
dà del Despota congiurante contro Berlusconi, presidente del
Consiglio “regolarmente eletto” (sana rusticità lessicale del non-
Leader), merita una riflessione l’aspetto più significativo di questo
breve ma epocale passaggio politico: il feeling ideologico fra M5S
e Minzolini. Va notato che il fu direttorissimo, saputo del “golpe
Monti-Napolitano”, aveva manifestato interesse per il cosiddetto
impeachment. Mosso, forse, dal suo fiuto di cronista per le
notizie frou-frou: ricordate, mentre iniziava a infuriare la crisi
economica, il repertorio di news futili e dilettevoli offerto dal Tg1
da lui diretto? Ecco, magari l’Augusto aveva visto nel cosiddetto
impeachment una continuità con leggendari pezzi del suo tg
quali “Flipper, che passione!”, i gusti di gelato preferiti dagli
italiani e via teledistraendo l’opinione pubblica. Notizie non così
culturalmente distanti dai mitici scoop a 5 Stelle, tipo i microchip
inseriti sottopelle o il regime di tale Pino Chet. Chiamiamole, se
volete, affinità elettive. Se non elettorali. Enzo Costa
l'Unità 24/03/14
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