Però, ripensandoci, quella di Berlusconi che, la scorsa settimana, diserta all’ultimo minuto Porta a Porta perché «vittima della par condicio», è bella. Immaginifica, nella sua disinvoltura semantica. Va detto che il puntuale comunicato di Vespa conteneva, pur se asetticamente riferita, anche tutta la cruda sostanza della faccenda: una retromarcia forzata del Cavaliere, volta a non rinfocolare l’immagine, da Lui stesso propagata e quindi poche ore dopo smentita, di un Alfano non proprio autorevole, senza esperienza e carisma, in altre, fardate parole, sprovvisto di «quid». Ma vinceva, nelle ineluttabili sintesi giornalistiche, quella formuletta, «vittima della par condicio», partorita dal principe dei giornalisti-notai catodici, che conosce bene i suoi polli, pardon, i suoi colleghi non-notai cartacei e annessi titolisti, così propensi a far di sintesi virtù.
E, dunque, vada per la «vittima della par condicio», come difatti è andata nella vulgata mediatica di quel giorno. Un capolavoro di sperimentalismo linguistico. Assai efficace nel riversare su una norma televisiva esterna, da sempre oggetto di facili deplorazioni, una bega politica interna al vieppiù disastrato ed impopolare Popolo della libertà. Ma non solo: un’espressione astuta giacché mirata, come si evince da un’ipotesi speculare: mettiamo che Vespa, in una puntata sul Pd, invece di Bersani avesse invitato Franceschini. Al più, si sarebbe parlato di una scelta bizzarra da parte del conduttore-notaio. Se poi, sempre per improbabile ipotesi di scuola, a ridosso della registrazione lo stesso Franceschini, a seguito di un’irritazione del suo successore e del partito, avesse dato buca al medesimo conduttore-notaio, ce lo vedete quest’ultimo a diramare un comunicato che, per quanto piccato, confeziona quel pasticciaccio brutto col grazioso fiocchetto «Franceschini vittima della par condicio»? Avrò poche diottrie, ma non me lo vedo.
Mentre scorgo un altro effetto, non intenzionale, per carità, dell’averla buttata in par condicio: la mancata attenzione al fatto che la puntata poi saltata non solo avrebbe dovuto essere registrata, cosa non infrequente, ma girata, per usare un opportuno verbo da fiction, alle 10 di mattina. Un ciak inconsueto, propedeutico, immagino, a (quasi) levatacce per conduttore-notaio, ospiti, troupe. E ciò non per via di un legittimo impedimento, pardon, impegno politico, del protagonista. Macché: perché Lui partiva per la Russia per trastullarsi privatamente con l’amico Vladimir. Una trasmissione ad personam, orario comodo compreso. Dettaglio che, ripeto, poi non è stato messo a fuoco. Non saprei dire con certezza per quale motivo. Però so che Vespa, lui sì, ha il quid. Enzo Costa
l'Unità 17/03/12
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