Scusate, ma mi manca Gianfranco Rotondi. Per me, di questa stagione, era un classico, come i picnic ad alta quota, l’eco dei campanacci negli alpeggi, il fuggire curioso delle marmotte fischianti. Rincasavo dopo fresche giornate alpine e, all’imbrunire, l’immancabile tg d’agosto, fra un grande esodo e un caldo record, mi offriva l’imprescindibile servizio politico, debitamente servizievole, su questo e quel ministro minore, su questo o quel sottosegretario ignoto, più a portata di microfono dei politici vip partiti per i loro resort esclusivi. Era il tempo di Rotondi. Faceva capolino col suo capoccione, spesso incastonato in un lussureggiante roseto che pareva fiorito per lui, fiero di quello scenario botanico così come dell’occasione vacanziera che gli regalava una visibilità altrimenti rara. Grondava la solita sornionaggine campana, ma lì, in quel contesto di ferie abbronzate, in quel panorama politico-naturalistico, riluceva di nuovo fulgore. Come dicesse: d’accordo, in autunno/inverno/primavera quasi non esisto, ma ora eccomi qui, a dire la mia alla Nazione, e a dirla con tutti i comfort vacanzieri da vacanti ministri vip. Perché anche lui, lo ricordo, era ministro, anche se come tutti voi (e forse anche lui) non ricordo più di cosa. Forse dei Rapporti col Parlamento, forse delle Rotture col Condominio, forse all’Attuazione del Programma, forse alla Programmazione dell’Atto: in fondo, non importa. Né, suppongo, a lui importava molto: gli importava essere lì, a dirci col solleone che il Premier Papi era vivo e governava come non mai. Ora Rotondi non si vede quasi più: l’altra sera è apparso per un decimo di secondo in un pastone di dichiarazioni sull’Ilva. Ma in un’immagine d’archivio, forse invernale. Mi sono intristito. E magari le rose sono appassite. Enzo Costa
l'Unità 27/08/12
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